Per anni, gli astronomi hanno sfruttato strumenti avanzati per ottenere immagini del cosmo in diverse lunghezze d’onda. Questo include immagini ottiche, dove viene osservata la luce visibile, e immagini che catturano radiazioni non visibili, spaziando dalle onde radio e infrarosse fino alle lunghezze d’onda dei raggi X e raggi gamma. Tuttavia, queste immagini bidimensionali non consentono agli scienziati di dedurre come appaiono gli oggetti in tre dimensioni. La trasformazione di queste immagini in uno spazio 3D potrebbe portare a una comprensione più profonda della fisica che governano il nostro Universo.
In un studio recente, un team internazionale di ricercatori, guidato dal Minnesota Institute for Astrophysics (MIfA) dell’Università del Minnesota, ha annunciato lo sviluppo di una nuova tecnica per l’astronomia radio. Questa innovativa tecnica ricostruisce immagini radio in “cubi Pseudo3D” tridimensionali, consentendo agli astronomi di avere un’idea più chiara di come appaiono le strutture cosmiche. Questa tecnica potrebbe migliorare la comprensione di come funzionano le galassie, i buchi neri supermassicci, le strutture dei getti e, in generale, l’Universo.
Lo studio è stato condotto da Lawrence Rudnick, Professore Emerito presso il Minnesota Institute for Astrophysics. È stato affiancato da colleghi della Research School of Astronomy and Astrophysics dell’Australian National University, National Radio Astronomy Observatory (NRAO), dell’Istituto di Astronomia e Astrofisica Radio, dell’Università Nazionale Autonoma del Messico, del Jodrell Bank Centre for Astrophysics, dell’Università di Manchester e del Kavli Institute for Particle Astrophysics and Cosmology.
I ricercatori hanno utilizzato una nuova tecnica per trasformare immagini radio bidimensionali in un modello tridimensionale al fine di comprendere meglio fenomeni nel nostro Universo. Crediti: Lawrence Rudnick/MeerKAT Radio Telescope
Per sviluppare il loro strumento di modellazione 3D, il team ha analizzato la luce radio polarizzata, che vibra in una direzione specifica. Successivamente, il gruppo di ricerca ha preso in considerazione l’effetto chiamato “rotazione di Faraday,” in cui la polarizzazione della luce ruota lungo la direzione di propagazione in proporzione alla proiezione di un campo magnetico. Questo effetto, dedicato a Michael Faraday, è stata la prima evidenza sperimentale del legame tra luce ed elettromagnetismo. Nel caso delle onde radio, la rotazione dipende da quanto materiale hanno attraversato.
Con questa tecnica, il team ha esaminato vari campioni di immagini radio ottenute dal Telescope Pathfinder dell’Australian Square Kilometer Array (ASKAP) e dai telescopi radio MeerKAT. Hanno scoperto di poter stimare quanto lontano ciascuna parte della luce radio avesse viaggiato, permettendo di creare un modello 3D di fenomeni che avvengono a milioni di anni luce di distanza. Questa tecnica ha anche consentito loro di dimostrare, per la prima volta, come si possa determinare l’orientamento della linea di vista dei getti relativistici.
Hanno inoltre esaminato il buco nero supermassiccio (SMBH) al centro della galassia M87. Utilizzando la loro tecnica, il team è riuscito a dimostrare come il materiale espulso interagisca con i venti cosmici e il clima spaziale, e ha analizzato anche le strutture dei campi magnetici del getto nello spazio.
Il team suggerisce di utilizzare questa tecnica per rivalutare tutte le analisi precedenti delle fonti di luce polarizzate. Sperano anche che questa tecnica possa essere applicata alle immagini catturate dai telescopi di nuova generazione in tutto il mondo. Questo include il nuovo progetto Square Kilometer Array (SKA-Phase2), che amplierà la struttura a circa 2000 antenne, rendendola 50 volte più sensibile e 10.000 volte più veloce di qualsiasi altro telescopio radio nel mondo.
Ulteriori letture: UofM-CSE, MNRAS